14 febbraio 2008

parole sante

Nel 2000 il lavoro precario si chiamava flessibile e sembrava che avrebbe salvato l'Italia dalla disoccupazione, Nel 2006, invece, le aziende si sono riempite di lavoratori atipici, a tempo determinato, a progetto e con collaborazioni coordinate e continuative. Così alcuni di questi lavoratori ''si sono autorganizzati, hanno rischiato e sono stati licenziati. Qualcuno poteva salvarsi e accettare un lavoro pagato 550 euro al mese. Ma non siamo mica il Titanic, non affonderemo cantando''. Così Ascanio Celestini racconta la storia di 'Parole sante', documentario distribuito dalla Fandango in uscita venerdì 15 febbraio (VEDI IL TRAILER).
''Mi pareva interessante parlare di un gruppo di lavoratori che si autorganizzano per non colare a picco con tutto il sistema di cui fanno parte'', aggiunge.Nei 75 minuti di pellicola, infatti, l'attore-scrittore parte da Cinecittà, dalla sede dell'Atesia, primo call center in Italia - l'ottavo al mondo - con 300.000 telefonate al giorno e circa 4.000 operatori, per raccontare la vicenda attraverso le parole di un gruppo di ragazzi che ''un po' di anni fa si sono trovati un lavoretto per pagarsi gli studi, per guadagnarsi qualche lira in attesa del lavoro vero e poi ci sono rimasti incastrati'', dice Celestini. Di quei 4.000, circa 400 erano i lavoratori subordinati, cioè assunti a tempo indeterminato, mentre 3.500 avevano il contratto a progetto. Contratto con cui si guadagnava ''a cottimo'' dice Jimmy, uno del Collettivo PrecariAtesia, che racconta: ''Prendi 0,85 euro solo dopo i primi 20 secondi, e se non superi i 2 minuti e 40. Poi, diventano 0.80''.Ed è proprio quando la società introduce questa riduzione di 5 centesimi che nasce la prima assemblea e i precari iniziano ad organizzarsi, formando il collettivo che, per anni, si riunisce due volte a settimana nel sottoscala di un quartiere sull'Appia. Dopo dieci scioperi, diversi sit-in e varie manifestazioni, alla fine, nell'estate del 2006 l'Ispettorato del lavoro scrive che l'azienda ha fatto loro un contratto a progetto che non indica alcun progetto reale e serve solo a nascondere la vera natura del lavoro ''per versare all'INPS e all'INAIL contributi inferiori a quelli dovuti''. Per cui l'Atesia - società che si occupa di CRM (Customer Relationship Management) e gestisce le relazioni con i clienti - avrebbe dovuto assumere tutti a tempo indeterminato. Ma Salvatore, Giampiero, Cecilia, Emanuela e molti altri dei protagonisti del documentario non sono stati assunti, qualcuno non ha accettato e altri sono stati comunque licenziati. ''Senza contare - dice Celestini - che diversi hanno anche ricevuto degli avvisi di garanzia''. ''Nel documentario ci vedete ridere, raccontando quello che ci è capitato - precisa Valerio - ma non sono risate di vera felicità. Solo che quando prendi coscienza di una situazione dolorosa o difficile, comunque, ti senti più libero, più leggero''. E, magari, anche meno solo.