18 dicembre 2010

Secondo incontro al C.S.O.A. Sans Papiers (Roma) e appunti di stabilità provvisoria.



Appunti di stabilità provvisoria

E' ancora embrionale questo tentativo di riappropriazione dello spazio. Si, perchè anche i centri sociali occupati ed autogestiti, così come li conoscevamo, hanno vissuto in quest'ultimo decennio delle modifiche sostanziali. La politica che li caratterizzava negli anni 70, è forse ancora più o meno la stessa, ovvero la stessa insorgenza contro i meccanismi omologati al sistema, la proposta economica alternativa, lo stretto legame tra gli occupanti ed il quartiere nel sostenersi vicendevolmente nelle stesse cause di lotta politica, anche nell'ottica di una difesa collettiva in rapporto ad una riappropriazione ed un riuso collettivo degli spazi altrimenti inutilizzati, etc... Ma tutto questo affrontando sempre più intimidazioni, strumentalizzazioni, pressioni, sgomberi, da parte di quello stesso stato che, inteso come figura istituzionale e legale, ha posto con il tempo una barriera mentale e fisica sempre più alta,  richiedendo un dispendio notevole di energie da parte di tutti quei cittadini che hanno sempre cercato di far valere i propri diritti. Spesso c'è il rischio di essere distolti dai veri obiettivi, perchè si è "costretti" a rispondere dente per dente, e quindi acquisendo le adeguate potenzialità per mettersi contro chi non vuole ascoltare. Un'organizzazione collettiva non può essere costantemente impegnata ad opporsi a qualcosa,  ancora meno non può dedicare tutto il suo operato ad un'istituzione sorda che si trova a vertice, e che il più delle volte decide per tutti in base a misere convenzioni di potere. Un'organizzazione collettiva autogestita non può prescindere dal territorio in cui opera ma nello stesso tempo deve poter dichiararsi nomade e riconoscere qual'è il tempo giusto per agire e quale quello per spostarsi.
Un'organizzazione nomade ed autogestita deve prevedere le conseguenze della stabilità, la stabilità legata all'abitare, all'economia, alla cultura e al potere. Una stabilità che và masticata e sputata, ne và conosciuto il sapore amaro; và accettata così com'è, per capire le esigenze di tutti gli individui che in quel momento si trovano in quel luogo, e lo vivono; ma la stabilità deve poter essere una lezione di vita e non una condizione vitale.
Scartare o nascondere completamente da sè un'idea di stabilità per sè stessi, comporterebbe non servirsi di nessun oggetto, mai, neanche quando se ne ha un bisogno vitale, di non poter essere nella condizione di chi ospita, quindi di non poter accogliere. Nell'epoca in cui viviamo qualsiasi stabilità si rivela essere sempre e comunque una temporaneità, qualcosa di precario. L'adattarsi ad uno spazio è una realtà di molti ed è sempre più diffusa.
Ultimamente mi sento pervaso da un costante senso di rifiuto verso ogni luogo, mi viene a mancare sempre di più quello spirito di adattamento che avevo da piccolo, ed ho bisogno di compiere uno sforzo maggiore ogni volta per farlo. Quando da artista scelgo di relazionarmi con uno spazio, cerco sempre un modo per potermi esprimere, ma poi mi occorre spostare l'attenzione su un punto diverso da quello originario, ed ogni volta, questa azione di spostamento dell'attenzione (distrazione) mi rivela una sensazione imprevista, esterna da me, che ha il potere di farmi vedere, con gli occhi di qualcun altro, in cosa si potrebbe trasformare un luogo successivamente al mio passaggio.


Secondo incontro Domenica 19 dicembre 2010, ore 18 C.S.O.A. Sans Papiers | viale carlo felice 69B | Metro A San Giovanni.

3 commenti:

  1. i mafiosi sono molto più apprezzabili di voi, almeno loro hanno il coraggio di essere quello che sono, non si riempiono di ipocrisia per mascherare le loro azioni.
    "lo stretto legame tra gli occupanti ed il quartiere " ? quale quartiere ? quello che tenete sveglio fino alle 4 di mattina coi concerti che vi riempiono le tasche ? quello che continua ad inondare la procura di esposti, denunce e quant'altro ? quello che prepara un comitato che finalmente ottenga la rimozione del cancro che avete impiantato nel quartiere ? quello che ogni domenica mattina osserva incazzato l'imbrattamento dei suoi palazzi ?
    abbiate almeno il coraggio di chiamarvi per quello che siete : MAFIOSI

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  2. Se non fosse per la viltà di "Anonimo" nei confronti della sua identità, o per quella sensazione di repressione, di cui ormai se ne conosce l'origine perchè nasce da una sordità artificiale e da una demenza dilagante, se non fosse per la confusione politica che man mano ci viene rimodellata e riconfezionata da poltrone elettroniche solo per favorire una certa "cultura del panico", che sempre di più si impossessa di terminologie legate ai valori di una tradizione cadaverica.
    Se non fosse per "quello incazzato" che la domenica mattina ha la fortuna di starsene a riposare a casa senza dover lavorare nei festivi perchè evidentemente se lo può permettere. Non avremmo capito che quella che oggi si può definire una violenta astensione dal sociale in realtà è solo una minaccia fragile fatta a sè stessi, dettata da una povertà d'animo, da una scarsa capacità di condividere un disagio e da manie di persecuzione.

    Un buon anno a tutti gli Anonimi.

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  3. L'idea di "riempirsi di ipocrisia per mascherare le azioni" calza alla perfezione proprio per definire il mafioso, infatti egli in genere agisce in collaborazione con lo Stato adottando un comportamento sicuramente anche ipocrita, perchè attraverso questo comportamento deve necessariamente creare l'illusione di operare a beneficio della collettività (un'esempio potrebbe essere quello dello speculatore edilizio).
    "Anonimo" parla di "cancro impiantato nel quartiere", altri invece parlano di risorsa: io credo che noi tutti abbiamo oggi il dovere di spiegarci, di comprendere insieme le reciproche esigenze e incazzature.

    Anonimo II

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